
24 Set Diventare grandi è la più grande avventura
Mi chiamo Daniele Gomarasca e sono il Preside di questa scuola e… sono molto emozionato.
Che vuol dire? Come, lui è emozionato? Figuriamoci noi!
Eh sì, perché ci aspetta una strada bella insieme, una strada meravigliosa, la strada di chi desidera come voi – ma lo desidero anch’io – diventare grandi, diventare più grandi. Diventare grandi è la più grande avventura, la più bella delle avventure, anche se non tutti sono d’accordo con quello che dico, c’è magari chi pensa che quando si è piccoli ci si possa divertire di più…
Quando ho avuto la prima figlia, Maddalena, mi piaceva molto andare al parco a giocare e anche a lei piaceva moltissimo. Quando uscivo di casa con il passeggino incontravo sempre l’orrenda vecchia del primo piano. Perché dico orrenda? Perché si avvicinava al passeggino con le sue mani appiccicose, adunche… Cosa non mi piaceva? Che dopo averla pastrugnata tutta mi diceva: “Se la goda adesso, perché poi, quando cresce, sono tutte sofferenze e dolori”. Mamma mia, vecchia malefica! Come le streghe, mancava solo la mela rossa… Io mi ribellavo a questo, perché nella mia esperienza e nell’esperienza di tanti ragazzi, sapevo che diventare grandi non è una fregatura, perché tanto più uno diventa grande più capisce che la realtà tutta, le cose sono
– primo: infinite;
– secondo: meravigliose, bellissime da conoscere, da studiare;
– terzo: sono per me.
E questo ve lo dico in un altro modo: io non vi ho conosciuti tutti, ma su questo schedario che contiene tutti i vostri profili (sapete che al colloquio, sia che l’abbiate fatto con me, sia con le colleghe, ve lo abbiamo chiesto), c’è scritto cosa volete fare da grandi. Vi ricordate? Qualcuno ha detto “non lo so”, magari avete troppe idee, magari da allora ad adesso ne avete cambiate venticinque, perché più uno cresce, più apre gli occhi alle cose, si appassiona. Per esempio, leggo: “Voglio fare il pasticcere”. Che bello! Bellissimo: chi non vorrebbe mangiare quei dolci meravigliosi? Oppure: la guardia forestale. Caspita! Pieno di foreste qui a Milano… Oppure: la maestra di sostegno, la ballerina… O un altro ancora, che vuol fare quello che volevo fare io da bambino: il paleontologo. Sei nel deserto, crepi di caldo, con gli scorpioni, il serpente e vai a cercare ossa mummificate da milioni di anni: un lavoro bellissimo! Metà di voi dice: “Ah, Dio, no! Il deserto… orrore!” e uno dice: “È straordinario!”. Metà delle ragazze hanno detto che da grandi vogliono fare le veterinarie: infatti una delle cose più appassionanti sono gli animali!
Ma come nascono questi interessi? Uno si sente chiamato alla pasticceria e un altro all’osso mummificato. Non è proprio la stessa cosa, anzi bisogna saper distinguere le due cose. Se io chiedessi: ma come hai fatto a scegliere, a farti venire questo interesse? Ho aperto il dizionario… pa…, pa… pasticcere, paleontologo: ho trovato questa parola e ho deciso che volevo farlo. Funziona così? No! Funziona che uno, poiché vive con gli occhi aperti, è in grado di incontrare le cose, un amico, degli interessi che ci vengono addosso come se fossero delle voci di uno che ti chiama: “Ma vieni a vedere un osso!”; “Ma vieni a vedere questa torta!”; “Ma guarda che bello!” E tu che fino a ieri, giustamente, di ossa preistoriche non ti eri molto interessato, a quel punto dici: “Questa è la cosa più bella che esista al mondo, io voglio spendere la mia vita per quello”. E di chiamata in chiamata, di voce in voce, uno pian piano dice “Bello l’osso… Bella la pasticceria” e la sua vita si apre, il suo cuore, il suo sguardo diventano sempre più grandi.
È questo, ragazzi, il vantaggio di diventare grandi. Quando si è piccoli sono poche grandi cose quelle a cui uno tiene. Più uno diventa grande, più le cose che ti piacciono ti chiamano, diventano tante e tanto grandi. E come succede questo? Ve lo spiego con un esempio mio. I miei genitori amavano andare in montagna. Io no. Ma perché loro erano esageratissimi: non puoi camminare per otto ore! Dove sta il divertimento? Mi dicevano: “Così vedi il panorama” e io scioccamente ribattevo: “Mi fate due foto e me le portate giù”… all’epoca non c’erano i cellulari. Ma siccome ero piccolo mi portavano con loro. Io mi ricordo ancora che prendevo un bastone e me lo mettevo dietro le spalle, sembravo Gesù con la croce… I montanari guardandomi dicevano: “‘Sto povero bambino lasciatelo a casa!”.
A un certo punto un amico dei miei genitori che veniva sempre con noi comincia a parlarmi: “Guarda lì, c’è un micascisto”. “Un mica… che?”. Quest’uomo che era in qualche modo appassionato di minerali aveva iniziato a parlarmi di qualcosa di cui di sicuro era piena la montagna. Da allora una delle cose che mi piace di più è andare a cercare i minerali, collezionare i minerali, scoprire le meraviglie della natura.
Come è successo? L’ho deciso io? No, è stato seguire quel signore coi baffi che, anche per pietà di quel condannato a morte, mi diceva “Guarda quei sassi, guarda che c’è molto di più di quello che c’è nella tua testa”. Com’è dunque che ho scoperto quella passione che ancora adesso, da allora, mi porto dietro? Grazie all’incontro con una persona.
Allora ragazzi: i vostri compagni, i vostri insegnanti sono la grande occasione per diventare grandi con il cuore e gli occhi spalancati, perché l’altro, l’amico, quello che ancora non conosci, quello che ti trovi a fianco nel banco sono la grande, insostituibile, preziosissima occasione per scoprire una cosa che non sai ancora. Per questo è importantissimo a scuola quando un compagno fa una domanda, chiede, fa un’osservazione, essere attenti perché come l’altro viene chiamato è interessante anche per me, richiama anche me.
In questa scuola entrate come bambini e uscite ragazzi, delle persone diventate grandi che a un certo punto – non tra molto – saranno chiamate a scegliere una nuova strada, una nuova scuola da fare… ma che bello! E sarà la prima grande scelta pienamente libera della vostra vita. Ma come si fa a scegliere se non insieme, se non lasciandosi incuriosire dagli interessi degli uni e degli altri, lasciandosi guidare dai vostri insegnanti a prendere sul serio la voce che le cose, attraverso la materie di scuola, attraverso gli incontri che facciamo, ci lanciano: “Vieni qui, c’è l’osso di brontosauro!”. “Sì, andiamo!”. “Vieni, c’è il bignè…”. “Sì, anche il bignè!”.
Tutte le cose meravigliose che ci avete raccontato al colloquio di iscrizione si incrementeranno perché uno diventa grande tutto, non solo l’involucro, non solo quello.
Per diventare grandi così basta solo, come le piante grasse, mangiare qualcosa ogni tanto, bere… e più o meno ti sviluppi: Ma a noi interessa l’insieme, il di dentro, la profondità della vostra persona.
Sono come dicevamo anni di grande cambiamento, di grande trasformazione, di grande bellezza, di grande fascino – anche se quando sui giornali si parla di voi, dei ragazzi delle medie, si usa sempre questa espressione idiota, si dice “non sono né carne, né pesce”. Io non vedo però qui davanti a me né salmoni né ossibuchi: mi sembra di avere a che fare con delle persone!
Allora già da adesso, così come siete, siete chiamati a una cosa grande, come leggerete a breve in questo bellissimo libro, Lo Hobbit: quando il grande Gandalf, il vecchio stregone si reca in quella cittadina pacifica dove sono tutti tranquilli, hanno dei grandi interessi nella vita: dormire, fumare la pipa, mangiare e vivere senza problemi … bello… sì e no! Dunque: arriva questo stregone in una casetta bella, rifinita, pulita, non c’è nulla fuori posto, entra e dice: “Io voglio proprio te! Ti invito a una grande avventura”. E l’hobbit inorridisce: “Guarda, hai sbagliato casa, hai sbagliato paese, hai sbagliato persona. A me basta quello che ho già”. Ma lo stregone è più convinto di lui: “No, ti sbagli! C’è dentro di te qualcosa di più di grande, di più bello, di più buono, che nemmeno ti immagini!”. E cosa può fare uno se si sente chiamato così da una persona, da una cosa grande, cosa fa? Fa come fece il condannato a morte su per i monti con il richiamo del micascisto: ti chini, ti pieghi, e vai a vedere.
C’è una bella parola che di solito si dice per imparare a stare con gli altri: bisogna rispettaregli altri, l’avrete sentita mille volte.
Sapete che la parola rispetto, il verbo rispettare in latino significa guardare, vedere, ma non vedere in generale; rispettare significa avere la pazienza di imparare a vedere bene. Ti devi fermare, ti devi piegare, devi porgere ascolto, devi guardare veramente. Se faremo insieme così, pian piano, gli uni nei confronti degli altri, insieme nei confronti delle materie, della conoscenza, davvero avremo rispetto delle cose, riusciremo a vederle e a vedere come attraverso di loro. Perché respicere in latino significa guardare, riguardare, volgersi a guardare, guardare una seconda volta, ma anche guardare attraverso, vedere dentro le cose.
Guardare veramente l’altro significa vedere quel tesoro prezioso, quel bene che ciascuno porta, la novità che ognuno di noi porta nel mondo.
E la scuola in tutto questo a cosa serve? Vi faccio un esempio: quando arrivai a La Zolla cinque anni fa ero nuovo, così andai a conoscere i ragazzi di terza (avevo solo un anno di tempo con loro); mi ricordo che incontrai una ragazza che andava benissimo a scuola, aveva tutti 10. E allora le chiedo: “Caspita, sei brava a scuola, come mai? Cos’è che ti piace studiare?”. “Ah, no, no! A me studiare fa schifo!”. “Come???”. “Io devo avere tutti 10, così mia mamma non mi rompe le scatole, però a me non interessa niente di quello che studio”. Ci sono rimasto male.
Torniamo alla domanda: a cosa serve la scuola? Cosa trova uno a scuola?
Primo: degli insegnanti. L’incontro con i vostri insegnanti, è l’incontro con persone che hanno sentito esattamente come voi la grande chiamata delle cose e hanno saputo fidarsi, avere rispetto, attenzione, guardare bene ciò che li chiamava e seguirlo; la prima cosa che vi invito a guardare è che sono persone contente, da grandi, di spendersi nelle cose, di insegnare, di condividere le loro scoperte. La prima cosa importantissima a scuola è incontrare qualcuno di lieto, lieto perché ha scoperto nelle cose, nello studio, una meraviglia, una infinita possibilità di bellezza, di bene, e per questo ha scelto di raccontarlo, ha fatto della sua vita, come dire, ha dato la sua vita per questo scopo: voglio condividere, voglio raccontarvi le cose belle che ho trovato.
Secondo: a scuola ci sono le materie. E cosa sono le materie se non la grande possibilità di scoprire passo dopo passo che la strada della vita è una strada che apre per ciascuno di voi un orizzonte infinito, dentro il quale uno è chiamato ad incontrare tutto e tutti, a confrontarsi con tutto e tutti, fino poi a scegliere una strada, la vostra strada, più bella delle altre, fatta proprio per voi?
Terzo: a scuola ci sono tanti compagni. Io non lo so se giocatrice di pallavolo, maestra, cantante lirica, suora, protezione animali, calciatore, veterinaria, cuoco, ingegnere, archeologo saranno come vi siete immaginati la vostra strada. Ma sono certo di una cosa: quello che ti ha chiamato una volta e che hai avuto la grazia di inchinarti a seguire ti accompagna per tutta la vita.
Diventare grandi è bello perché uno fa un sacco di cose che lo chiamano, che gli piacciono, che lo attraggono. Per dirla con una parolona, alla vostra età si comincia a vedere che la vita è una vocazione, è una chiamata, perché le cose ci chiamano, e l’altro è un dono che abbiamo: i vostri genitori, i vostri insegnanti, tutti i vostri compagni, esattamente come voi lo siete per noi. Siamo gli uni per gli altri la possibilità di aprire gli occhi e guardare qualcosa di cui non ci eravamo ancora accorti.
Mi ricordo che alla vostra età, quando sono stato interpellato in terza media – “cosa farai da grande?”-, io avevo due idee: siccome ero timidissimo, non avrei mai potuto immaginare di fare quello che faccio adesso, non avrei mai aperto bocca, ero indeciso tra due cose: per prima lo speleologo, quello che va nelle grotte, da solo, al buio… sai che dialoghi! Sai che comunicazione! Come seconda – anche meglio -, volevo lavorare nei batiscafi sott’acqua. Anche lì che discorsi si fanno!
Non potevo immaginare un lavoro nel quale si dovesse parlare con le persone. Però mio padre aveva capito che c’era qualcosa da risolvere, così si inventò due cose. Innanzitutto, quando gli chiedevo di portarmi al cinema o alle giostre, portava con me anche un mio amico o una mia amica. In questo modo, pian piano, ho potuto scoprire che è bellissimo stare insieme agli altri. E poi, quando si andava in panetteria piuttosto che al ristorante, mandava me a comprare il pane o a pagare il conto. Io mi vergognavo come un ladro, non perché rubassi (i soldi me li dava!)… ma andavo al banco e non ce la facevo.
Questo vuol dire che diventando grandi, anche quelli che vengono percepiti come dei limiti, delle fatiche, delle difficoltà, non ci sono dati per schiantarci, per distruggerci. Pensate come dal mio limite, dalla mia difficoltà a parlare è nata e si è sviluppata la mia passione per il mondo della natura, dove pensavo di poter stare in solitudine e in silenzio a contemplare le sue meraviglie.
Il grande augurio allora che vi faccio è questo, ragazzi: che ci accorgiamo insieme che la vita tutta è una grande chiamata, e che tutte le persone che incontriamo sono l’indispensabile occasione perché il nostro sguardo e il nostro cuore si ridestino; ci auguriamo di imparare davvero ad aver rispetto per le cose, ci auguriamo di imparare a guardarle fino in fondo, fino al loro significato, in modo che per ciascuno di noi si apra una strada, la grande bella strada della vita che è bellissimo fare perché uno ha il micascisto, l’osso di brontosauro, il bignè che ti accompagnano, che ti sostengono con mille altre cose e persone per tutto il tempo.
E su quella strada tutti i tuoi limiti sono accompagnati e così non sono più una maledizione, non sono solo una fatica, ma stranamente anch’essi diventano un’occasione per acuire lo sguardo.
Ma per questo bisogna veramente concepirsi insieme agli altri; imparate dagli insegnanti il modo di guardarvi gli uni gli altri, guardate come sono attenti a ciascuno di voi, accorgetevi e imparate a fare così, altrimenti uno si perde qualcosa, anzi si perde tutto.
Ci auguriamo che questi tre anni, a partire da subito, siano l’occasione di scoprire questa grande chiamata a un di più di noi: a essere più grandi, più belli, più felici, più contenti, più capaci di accogliere e guardare l’infinità di meraviglie di cui la vita di ciascun uomo può essere piena, quando è così umile e attento nel guardare e nel lasciarsi guardare.