
01 Mag Ed io che sono? Incontro con Giancarlo Cesana
La Zolla ha invitato il professor Giancarlo Cesana, ordinario di Igiene all’Università degli studi di Milano e autore del libro “Ed io che sono? Tra psicologia ed educazione”, che racconta il proprio percorso personale ed accademico rispetto alle sfide della libertà e dell’educazione.
Dopo l’introduzione del presidente del Consiglio di Amministrazione, Lorenza Violini, il prof. Cesana ha risposto alle domande che docenti e direttori avevano preparato a partire dalla propria esperienza.
Il dialogo si è svolto intorno ad alcune parole, importanti per il lavoro educativo e riprese dal lavoro e dall’esperienza di Cesana.
AFFEZIONE
Racconti che nella tua storia, quando eri ragazzo, non veniva messa a tema l’affezione ma la pretesa di regolarla. Cosa significa che il punto fondamentale del problema educativo è lavorare sull’affezione? Cosa significa mettere a tema l’affezione?
Significa invitare a seguire: non a seguire te ma quello in cui tu credi. L’affezione è la cosa più importante della vita. Seguire e andare dietro quando ero giovane era un implicito: c’era un richiamo continuo ad andare dietro, ma non era messo a tema, non era spiegato nel suo valore. Per primo me lo ha spiegato don Giussani, raccontando come le prime parole che Gesù ha detto ai suoi discepoli non sono state “amatevi”, ma “venite e seguitemi”.
Come fai a capire che una proposta è vera? La devi provare. L’educazione affettiva è nella sequela, nell’invitare a seguire. Per imparare bisogna amare la verità, per educare bisogna amare gli uomini e amare significa proporre loro qualcosa, e compromettersi con loro.
LIBERTA’
Nella scuola oggi ci sono tanti bambini con difficoltà di apprendimento certificata e facciamo fatica a stare davanti a questa situazione: spesso la diagnosi diventa una misura sul bambino. Cosa vuol dire che la libertà in questi casi non è compromessa? E come mai aumentano i ricorsi ad esperti e psicologi di fronte alle fatiche dei bambini e dei ragazzi?
La libertà è il nome che, esistenzialmente si dà all’anima, cioè a quella caratteristica irriducibile della persona, che la rende immagine di Dio. Noi siamo creati liberi: la coscienza che ne abbiamo, invece, è legata alla condizione fisica e psichica, alla crescita, all’educazione. Da bambino ne hai una coscienza piccola, quando sei malato è confusa, quando sei psicologicamente debole la coscienza della libertà è distorta. Ma la libertà non è cancellabile per quanto la sua espressione possa essere ridotta o alterata. L’altro è irriducibile alla nostra misura.
Lo psicologo introduce dentro il rapporto una dimensione medica, cioè curativa. Il ricorso all’esperto diventa necessario di fronte ad una patologia, cioè ad una invalidità, perché non sai fare quello che fai normalmente. Uno incasinato non è invalido, così come uno con il colesterolo alto è a rischio di malattia, non è malato. Si ricorre al medico quando si è in presenza di una invalidità. C’è una tendenza alta a fare diagnosi di malattia, perché è un modo per bypassare la difficoltà, la difficoltà del voler bene.
Se di fronte all’altro sei “freddo”, la freddezza di fronte all’altro è un disturbo, diventa patologia dell’altro. Così non è più un tuo problema, ma questo è il disastro educativo.
La Zolla, vedendo i bambini è una scuola diversa, ma il resto dell’educazione è così.
TRADIZIONE
La prima cosa da imparare e da trasmettere ai bambini e ai ragazzi è la tradizione, ma cosa vuol dire partire da una tradizione oggi, quando ci troviamo di fronte alle persone con le tradizioni più diverse?
Il problema della tradizione è un patrimonio che ti è stato consegnato da quelli che sono venuti prima di te. La verità la impari da quelli che hanno dato la vita per cercarla. La tradizione è la vita di quelli che ti hanno preceduto, sacrificata per cercare il vero. Questo è la radice di un popolo. Se non conosci la storia sei condannato a ripartire sempre da capo. La tradizione va riguadagnata per essere un presente. Nell’insegnamento la comunicazione è tanto più forte quanto più un insegnante rivive la sua tradizione rinnovandola. La scuola è solo lo strumento dell’educazione, ma quello che educa è il popolo che dà vita alla scuola.
FATICA
Sembra che la fatica sia il grande nemico: il compito dell’educatore è eliminare la fatica dalla vita dei figli. La fatica non è solo del ragazzo ma anche dell’educatore. Qual è il valore della fatica nel lavoro educativo?
Ci sono due estremi nella proposta odierna: l’apprendimento come gioco, imparare divertendosi. Dall’altra parte c’è la meritocrazia, lo studio duro. Questo vuol dire che non si sa perché bisogna fare fatica! Perché il mondo non l’abbiamo fatto noi e non va secondo noi ma va secondo chi lo ha fatto. Per poter vivere nel mondo bisogna far fatica se si vuol vivere. Ma per voler vivere bisogna avere uno scopo che tenga su la vita, che è la ragione per fare fatica, fare sacrificio: riconoscere che la verità è più importante di quello che ciascuno pensa. In questo senso, nella misura in cui si comprende lo scopo, il senso delle cose è un rapporto: che cosa centrano le cose con me. Nella misura in cui si capiscono le cose si misura l’impegno e quindi l’accettazione della fatica che è la cosa più normale che c’è, è la condizione della vita.
PROPOSTA
Corriamo il rischio di pensare di sapere già cosa i nostri figli vogliono essere e se questo non succede è un disastro. Il rischio opposto è accettare tutto. Come stare di fronte a questi due estremi?
E’ giusto porsi e porre degli obiettivi: il fattore principale dell’educazione è la proposta, l’adulto che propone. Io ho la responsabilità di comunicare a loro quello in cui credo. Però il correttivo, ciò che fa reggere insieme la proposta che si fa è nel voler veramente bene all’altro e nel non fare della proposta un’arma ideologica ma renderla un gradino su cui bisogna salire. Ma per voler bene bisogna essere voluti bene da qualcun altro. Per giudicare le cose ci vuole la compagnia di qualcuno a cui domandare, che è la cosa più importante della vita.
Per chi vuole approfondire:
Giancarlo Cesana, “Ed io che sono? Tra psicologia ed educazione”, a cura di Paola Navotti, Ed. La Fontana di Siloe, pp. 128.