Nei giovani brilla la speranza delle cose più grandi

di Daniele Gomarasca - Coordinatore Didattico Scuola La Zolla Milano
Scuola La Zolla Milano

24 Set Nei giovani brilla la speranza delle cose più grandi

Fa sorridere scoprire che le lamentele sui giovani e sugli insegnanti da parte dei meno giovani (o dei non insegnanti), come le lamentele da parte degli insegnanti nei confronti dei giovani e della scuola in generale (perché il ragazzo ha le sue idee, il genitore ha le sue idee, il collega ha le sue idee, il ministro ha le sue idee, e soprattutto il telefonino in classe ha le sue implicazioni…), non sono un male nato nei nostri tempi.

Anzi. Come ci racconta il prof. Quintiliano, che figurava alla voce “insegnanti pubblici” nientemeno che sul libro paga dell’imperatore Vespasiano, anche ai tempi di Roma l’educazione aveva un grande nemico: la lamentela, appunto. Pubblica e privata.

Nell’esordio dell’Institutio oratoria, monumentale volume (nel quale e nel quanto) che raccoglie ciò che da insegnante ha imparato in tanti anni di onorato servizio, il prof. Quintiliano ci offre il solo antidoto al dilagare del lamento – che poi è sempre il primo passo di chi ha già deciso, per dirla con Machiavelli, che non vale la pena di “insudare molto nelle cose”… di darsi da fare insomma.

L’antidoto – è presto detto – è la speranza.

La speranza di chi è convinto che ogni uomo sia stato fatto bene: sicuramente è facile supporlo per l’alunno (o il figlio) placido e contemplativo (quello che non dà problemi, per inciso – quello insomma che studierebbe da solo anche nel deserto dei Tartari, e si fa il letto senza che tu glielo chieda tutte le mattine); ma deve valere anche per l’irrequieto, quello che non sta mai fermo, quello che non è mai a posto, quello insomma che scalza l’insegnante (e il genitore) dalla sua routine: anzi, sarebbe proprio la vivacità (della ragione) “il segno per cui si ritiene che l’origine dell’anima umana sia divina”. Per non parlare della vivacità del corpo.

Ma non basta accogliere e difendere la speranza che l’uomo – ogni uomo – sia fatto bene; occorre aggiungere, sempre col prof. Quintiliano, che ogni uomo è fatto per il bene: per questo “quando gli nasce un figlio, il padre deve concepire subito su di lui le migliori speranze: solo così ne avrà più cura fin dall’inizio”. L’uomo infatti nasce per vedere fino in fondo, per conoscere in profondità, e così inoltrandosi di cosa in cosa può scoprire una strada percorribile – direbbe Dante – ad una “casa”, ovvero ad una trama di relazioni che ha volti, spazi e tempi ben identificabili, una trama in cui ciascuno si sente affermato, accudito e amato perché c’è, una trama in cui ciascuno può scoprire se stesso e il proprio volto; di più: una trama di relazioni in cui ciascuno può essere sfacciatamente se stesso e sfacciatamente può andare fino in fondo, fino al fondo. Riafferrato e rilanciato in una prospettiva infinita.

In latino si chiama “perspicacia” questo dono squisitamente umano di poter cogliere nel dato che ci attrae una chiamata più grande; una chiamata senza fine; cioè una chiamata infinita e all’infinito.

Desidero una scuola (cioè una trama di relazioni che abbia volti, spazi e tempi ben identificabili) all’altezza di questo dono e del compito che ne deriva.  Perché “nei bambini” (ma anche nei giovani, non solo all’anagrafe), “brilla la speranza di infinite possibilità”, la speranza delle cose più grandi, la speranza nelle cose più grandi: e “quando essa si spegne con gli anni, è evidente che non la natura ha fatto difetto, ma l’educazione”. Che Quintiliano, Dante, Machiavelli, l’esperimento di scienze, le radici quadrate, la Nona di Beethoven, il dodgeball, la riforma dei Gracchi, il teatro, lo studio guidato, e tutto quello di grande e bello incontriamo dentro e fuori dalla nostra scuola ci aiutino nel difendere (e, se possibile, accrescere) la speranza nostra e dei giovani.

Che è il bello del mestiere dei padri e delle madri. Che è il bello del mestiere degli insegnanti.

Buon anno e buon lavoro, di cuore, a tutti.