
12 Set “Nella vita non raccogli ciò che semini: raccogli ciò di cui hai cura”
“Take care”: mi ha sempre colpito questo modo di salutarsi in inglese, quando ci si sta per separare per un periodo più o meno lungo. Quando ci congediamo dalle famiglie che ci ospitano nella settimana di stage della scuola media, spesso ce lo sentiamo rivolgere con un sorriso, un sorriso nel quale a volte ci pare di scorgere una certa preoccupazione.
Anche in italiano abbiamo qualcosa di simile, quel “fai attenzione”, o meglio ancora “abbi cura”, detto oggi forse più spesso dai nonni e dalle nonne. Ma cosa risuona davvero in questo saluto, che esprime con ogni evidenza un compito? È una forma di cautela (“bada a te!”) a cui siamo invitati, a preservarci cioè con la massima circospezione dalle (brutte) sorprese della vita?
Mi piace interpretare quel saluto all’esatto opposto: come un invito a essere davvero attenti, a prenderci cura non solo di noi stessi ma delle cose tutte quante, a prenderle davvero a cuore. A essere protesi, perché certi che c’è un valore da scoprire negli altri e nel mondo; e dunque a metterci in marcia alla sua ricerca, per imparare a guardare davvero tutto. Anche perché il significato di “guardare” collima con quello di “proteggere”, di “custodire”: guarda davvero chi sa apprezzare il valore di ciò che incontra e si dispone a difenderlo con tutto sé stesso.
Allora “take care” è un augurio perfetto per chi come noi si incontra di nuovo, dopo un certo periodo di lontananza, all’inizio di un nuovo anno scolastico.
Per chi desidera che l’educazione, che passa attraverso l’insegnamento delle discipline, possa essere davvero lo strumento attraverso cui uno acuisce la vista, tiene gli occhi bene aperti, e si adopera non per cautelarsi di fronte alle cose che non vanno ma per spendersi dentro di esse, magari per provare a raddrizzarle.
Il grande poeta T. S. Eliot nella sua poesia Animulaci racconta l’itinerario dell’anima umana nel mondo, a partire da quando essa si distacca danzando dalla mano di Dio. È un cammino di conoscenza quello che ci viene prospettato, possibile però solo in virtù della domanda espressa dagli ultimi versi, curiosa variazione dell’Ave Maria: “Prega per noi ora e nell’ora della nostra nascita”. Perché ogni anima ha bisogno di custodire, allorché la vita si fa complicata, quella semplicità di cuore, quella semplicità di sguardo che è inscritta in ciascuno di noi fin dall’origine.
Questa è evidentemente una grazia, ma io credo lo scopo dell’educazione e dell’insegnamento sia proprio quello di riguadagnare, di rendere ragionevole – frutto cioè di una scelta libera – quella posizione originale di apertura di fronte alle cose, di fiducia di fronte alle cose. Questo dobbiamo giorno per giorno riconquistare come adulti, nell’incontro sempre nuovo con la libertà di ciascuno dei nostri figli.
Perché “l’educazione”, scriveva Hannah Arendt, “è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilitàe salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani”.
Buon anno, di cuore, a tutti.
Daniele Gomarasca
Coordinatore Didattico